Marzamemi, dove la Sicilia è rimasta quella vera

Nel borgo di Marzamemi, tra reti, pietra e mare, la vita scorre lenta e sincera. Un viaggio dentro l’anima dell’isola.
Appena scendi dalla macchina e ti incammini tra le case basse di Marzamemi, senti qualcosa cambiare nell’aria. Non è solo l’odore del mare, che arriva deciso e salmastro, ma anche quello del legno umido delle barche tirate a riva, del pane caldo nei forni e della pietra che ha assorbito decenni di sole.
Il borgo appare all’improvviso, quasi per caso, dopo le curve secche tra Pachino e il confine con la provincia di Ragusa. Ed è come se il tempo avesse rallentato, o forse semplicemente smesso di correre.
Qui, nel cuore del Mar Ionio, tra reti stese al sole e panni che sventolano da balconi minuscoli, ogni dettaglio sembra raccontare qualcosa. Una storia di pesca, certo. Ma anche di resistenza.
L’eco della tonnara
Sulle mura dell’antica tonnara, oggi silenziosa ma viva di eventi e memoria, si legge ancora la fatica di chi ha trascorso una vita a lottare con le correnti. Non serve una guida: basta appoggiarsi con la schiena alla pietra per sentire voci, schizzi, grida.
Si dice che un tempo, quando i tonni entravano nella camera della morte, tutto il paese si fermasse. Ora lì si organizzano concerti, mostre, matrimoni. Ma l’anima? Quella è rimasta sotto le travi, dentro le stanze basse, tra i ganci arrugginiti che nessuno ha voluto togliere.
Storie cucite a mano
Giovanni ha 72 anni e cammina ancora scalzo, come faceva da ragazzo. La sua barca ha il nome sbiadito, ma non l’amore per il mare. “Non c’è differenza tra ieri e oggi, se sai ascoltare le onde”, dice. E lo dice piano, come se fosse un segreto.
Più in là, Francesca sistema barattoli di tonno sott’olio su uno scaffale in legno. Il locale è la vecchia casa del nonno, trasformata in una bottega che profuma di origano e conserva. Non c’è niente di sofisticato, né etichette dorate. Solo un’etichetta scritta a mano e l’orgoglio sincero di chi sa da dove viene.
Il turismo che (per ora) non ha rovinato tutto
Marzamemi d’estate si riempie. Tavoli pieni, barche a noleggio, aperitivi al tramonto. Eppure – per ora – niente grattacieli, resort con piscina a sfioro o insegne luminose. Nessuno ha avuto il coraggio (o il permesso) di tradire l’essenza.
Le associazioni locali, va detto, fanno un lavoro silenzioso ma prezioso. Organizzano visite guidate, recuperano tradizioni, insegnano ai bambini come si fa la bottarga. Un modo per dire: “Va bene il turismo, ma ricordiamoci perché la gente viene fin qui”.
Quando andarci? Quando vuoi, ma…
Aprile, maggio, settembre, ottobre. È lì che Marzamemi si rivela per quello che è davvero. Con la luce morbida del tramonto che accarezza la Piazza Regina Margherita, con le chiesette gemelle che sembrano giocattoli dimenticati da un dio bambino, con le calette tra Marzamemi e San Lorenzo che sanno di segreto.
A quell’ora, mentre il sole si abbassa e i gabbiani si rincorrono sopra la tonnara, non servono parole. Basta restare fermi. Respirare. Lasciare che il silenzio faccia il resto.
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